"ELVIS: IN THE TWILIGHT OF MEMORY" DI JUNE JUANICO: IL PRIMO INCONTRO

Nel suo libro "ELVIS: In The Twilight Of Memory", pubblicato nel 1997, June Juanico racconta la sua storia con Elvis Presley, iniziata nell'estate del 1955 e durata finché una serie di circostanze, provocate anche dai media e dall'evolversi della carriera di Elvis, non ne hanno provocato la fine per decisione di June.
Questa è la descrizione del loro primo incontro, avvenuto il 27 Giugno 1955 a Biloxi, la città in cui June abitava.
Ringraziamo di cuore la nostra amica e grande fan di Elvis - Laura Costanzi - per la traduzione e per la concessione d'uso.

Biloxi Giugno 1955: quel viso!
Non dimenticherò mai la prima volta che ho visto quel viso: il viso perfetto di Elvis Presley.
Era il Giugno del 1955. Ero appena tornata dal lavoro quando il telefono ha squillato. Glenda Manduffy, una cara amica, mi chiamava per chiedermi di andare con lei a vedere un cantante che si chiamava Elvis Presley.
"L'ho visto ieri sera allo Slavonian Lodge e June, è il ragazzo più bello che abbia mia visto in vita mia. Devi venire con me June, ok?"
"Rallenta Glenda! Allora, dove, quando e come andiamo?".
"E' stasera, al Club degli Aviatori. Ci porterà mio fratello e ci verrà a prendere quando è finito".
"Sono tanto stanca Glenda, voglio solo farmi un bagno caldo e rilassarmi prima che arrivi Norbie".
Alto 195 cm, Norbie Ronsonet era il ragazzo più bello che avessi visto nella mia vita. Ci eravamo regolarmente frequentati negli ultimi sei mesi.
"Lo spettacolo non inizia prima delle 7,30 June. Hai tutto il tempo di fare il bagno e rilassarti. Chiama Norbie e digli che devi venire con me a Keesler Field".
Ho accettato, riluttante, e sono andata a fare il bagno.
Il club aveva circa 300 posti a sedere e si stava riempiendo velocemente, principalmente di giovani aviatori che ci fischiavano dietro, mentre passavamo tra i tavoli; Glenda era felice di vedere così poche donne: non più di trentacinque circa.
"Bene", ha detto "Così forse possiamo riuscire a parlare con lui. Ieri sera allo Slavonian Lodge c'erano ragazze urlanti da una parete all'altra. Non si poteva avvicinarlo".
Le luci si sono abbassate, la musica è partita e Elvis ha fatto la sua entrata.
Non ricordo cosa indossasse; non riuscivo a guardare altro che il suo viso.
"That's all right" è stata la prima canzone. Ballava su tutto il palco. Ora capivo perché la mia amica stava sul bordo della sedia. Questo ragazzo era assolutamente bellissimo.
Dopo otto o nove canzoni - il suo repertorio a quei tempi era limitato - la band ha fatto una pausa. Elvis stava in piedi all'entrata laterale del palco, parlando con un gruppetto di persone.
Glenda stava morendo dalla voglia di parlare con lui, ma io ero un po' fredda.
Mentre cantava aveva guardato nella mia direzione qualche volta, così non volevo sembrare ansiosa di conoscerlo. Glenda ha visto una freccia sul muro, proprio sopra la testa di Elvis che indicava il bagno delle donne.
"Forza June, andiamo". Quando gli siamo passate vicino, Elvis ha guardato verso di noi e ha sorriso. Ho preso Glenda per un braccio e abbiamo continuato a camminare.
"June, fermiamoci a parlare con lui quando torniamo. Per piacere!".
"Se vuoi, puoi farlo tu Glenda, ma io no".
Elvis, essendo una testa più alto di chiunque altro nel gruppo, stava guardando nella nostra direzione quando siamo uscite dal bagno delle signore.
Appena siamo passate di nuovo vicino a lui, si è fatto strada tra la folla e mi ha presa per un braccio. Stavo tremando quando ho sentito la sua voce bassa e sexy che mi parlava.
"Dove stai andando? Non stai andando via, vero?".
Mi stava ancora tenendo per il braccio. Mi sono girata e ho guardato su; il suo viso era a pochi centimetri di distanza.
"No, sto solo tornando al tavolo". Il mio cuore batteva forte, potevo sentire che stavo arrossendo. Ero totalmente impreparata a questo.
"Mi piacerebbe vederti quando ho finito. Rimani per il resto dello spettacolo? Vorrei che mi facessi conoscere la città".
"Non c'è molto da vedere. Biloxi è una città molto piccola". Stavo balbettando come un'idiota, giocando a fare la difficile e non sapevo nemmeno perché.
"Mostrami quello che puoi. Non sono difficile da accontentare. Finirò tra un'oretta. Aspettami. Non ci metterò molto. Devo caricare pochi strumenti. Ok?".
Elvis è tornato sul palco e ha cantato per altri quaranta minuti.
Dopo lo show, Glenda ha aspettato con me davanti al locale. Elvis è arrivato su una Ford Crown Victoria del 1955, rosa chiaro e nera. Un contrabbasso era legato sul tetto della macchina. Era una cosa buffissima, sembrava una specie di macchina da guerra.
E' saltato giù, ha fatto il giro e mi ha aperto la portiera.
"Ti dispiace se torniamo al motel?", ha chiesto. Ho inghiottito a fatica, chiedendomi cosa avesse in mente.
"Solo il tempo di farmi una doccia veloce". Aveva lavorato sodo sul palco; la sua camicia era bagnata fradicia.
"Sicuro", ho detto ridendo.
"Non so nemmeno il tuo nome, bella ragazza!"
"E' June. Qual è il tuo?"
"Mi chiamo Elvis"
"No, intendo il tuo vero nome".
"Il mio vero nome è Elvis".
"Oh, pensavo che Elvis fosse un nome d'arte".
"No, ce l'ho da tutta la vita. Ti dispiace aspettare in macchina June? I ragazzi sono veramente disordinati e non c'è spazio per sedersi. Non ci metterò molto, promesso"
.
"Certo, vai pure. Non è un problema".
Elvis è uscito proprio mentre i ragazzi stavano entrando col contrabbasso. Gli ha detto di non preoccuparsi; sarebbe tornato prima che fosse ora di ripartire. Dovevano ripartire la mattina, direzione Alabama, per fare altri spettacoli.
"Ok bella ragazza, mostrami la città".
"Ti sei già dimenticato il mio nome?"
"No June, non l'ho dimenticato. E' solo che sei così bella".
"Grazie. Scommetto che lo dici a tutte le ragazze".
"No, solo a quelle carine. Dove andiamo bella ragazza?".
"Cosa ti va di fare?"
ho chiesto innocentemente. Lui ha alzato le sopracciglia, mi ha guardato e ha riso.
"Non posso rispondere June. Mi molleresti uno schiaffo".
Abbiamo riso entrambi. Non solo aveva quel viso fantastico, aveva da abbinarci un bel senso dell'umorismo.
"Ok", ho detto, "Cos'altro hai voglia di fare?".
"Che ne pensi di un posto carino dove possiamo prendere qualcosa da bere e conoscerci meglio".
"Cosa prendi baby?"
, mi ha chiesto Elvis facendomi l'occhietto.
"Prendo una VO e seven-up", ho risposto, sorridendo alla cameriera.
"Per me una coca, grazie", mi ha fatto di nuovo l'occhietto.
"Non importa, prendo una coca anche io".
La cameriera è andata via sorridendo. Era così occupata a guardare Elvis che per lei avrei potuto avere cento anni.
"Va bene se vuoi un cocktail June".
"No, davvero no. Stavo solo cercando di far credere alla cameriera che sono più grande".
"Quanti anni hai June?".
"Non abbastanza da poter stare qua"
, ho sussurrato.
"Intendi dire che non hai ancora diciotto anni?".
"Non ancora. Ne faccio diciotto a Novembre".
"Ho appena compiuto venti anni a Gennaio. Finiamo i nostri drink e usciamo da qui".
Ci siamo ritrovati parcheggiati proprio di fronte al White House Hotel, che ha uno dei moli più lunghi della città, molto proteso sull'acqua.
La luna piena illuminava la strada. Mi ha tenuto per mano finché siamo arrivati alla fine, poi mi ha rivolto verso la luna che sorgeva e stava in piedi dietro di me con le sue braccia intorno alla mia vita.
"Hai mai visto la luna sull'acqua prima?".
"Non su così tanta acqua! Ma se pensi che sia bella, dovresti vedere la luna sulla neve. E' la cosa più bella che puoi mai vedere. Tutto luccica, e puoi vederlo per miglia".

Ho appoggiato la testa indietro sulla sua spalla e lui mi ha baciato il collo. Ero stata baciata sul collo altre volte, ma mai in quel modo. Mi ha fatto venire i brividi! Diceva il mio nome e mi baciava il collo ancora e ancora. Stavo tremando; mi sentivo come se stessi per sciogliermi.
"In questo momento non riesco a pensare ad un altro posto dove vorrei essere".
"Nemmeno io. Sono felice di vivere qui".
"Non sto parlando di vivere qui June, sto parlando del fatto di essere qui con te".
"Beh, grazie Elvis. Sono contenta che sei felice di stare qui con me".
Mi ha girato, mi ha tenuta a distanza di braccia e mi ha guardata negli occhi.
"June, non devi avere paura di me. Non ti farò del male, prometto".
"Non ho paura di te Elvis"
"Perché stai tremando allora?".
"Credo di essere un po' nervosa, tutto qua".
Mi ha avvicinato a sé e mi ha preso il viso tra le mani. Mi ha baciato la fronte, gli occhi, il naso e infine le labbra. E' stato il bacio più gentile e allo stesso tempo più appassionato che avessi mai ricevuto in tutti i miei diciassette anni.
Abbiamo passato le ore successive baciandoci e parlando, parlando e baciandoci, guardando la luna muoversi lentamente nel cielo. Elvis ha pensato che fosse divertente quando gli ho detto che non avevo mai baciato al primo appuntamento.
"E' la verità te lo giuro. Questa è la prima volta".
"Ti credo baby. Sono felice di essere io".
"Che ore sono?"

Elvis ha provato a guardare l'orologio alla luce della luna.
"Potrebbero essere le 1:15 o le 3:05. Non saprei dire".
"Devo andare a casa! Non sono mai rientrata così tardi!".
Abbiamo corso verso la macchina. Mio Dio, speravo che fossero le 1:15, ma l'orologio della macchina diceva le 3:05... e io sapevo di essere in un grosso guaio.

(c) June Juanico "Elvis: The Twilight Of Memory"