"ME AND A GUY NAMED ELVIS" DI J. SCHILLING: LA FORZA DEL FUNERALE DI ELVIS PRESLEY

In questo stralcio del suo libro "Me and A Guy Named Elvis", Jerry Schilling parla del giorno del funerale di Elvis Presley e della potenza che questo avvenimento ha avuto nel riunire tante persone come se fossero una sola.



C'è stato un momento in cui mi sono ritrovato da solo nel soggiorno con Elvis ed ho pensato ad una giornata, molto tempo prima, in cui mi sono ritrovato a pochi passi dallo stesso punto, e guardavo dal soggiorno verso la sala della musica, dove Elvis era seduto da solo a suonare il pianoforte.
La musica, potente e bella, mi aveva attirato dalla mia stanza al piano terra, ma quando mi sono avvicinato, ho pensato che, forse, mi stavo intromettendo in qualcosa di personale. Elvis era perso nel suo canto e nel suo suonare e non volevo interrompere il suo momento privato.
Ma non riuscivo proprio ad allontanarmi dalla sua musica. Stavo cercando di decidere da che parte andare, quando il caso ha voluto che alzasse lo sguardo e mi vedesse.
Non ha smesso di suonare. E, con il solo accenno di un sorriso sul viso, mi ha fatto un breve cenno del capo per farmi capire che gli andava bene che rimanessi ad ascoltare.
E' tornato a rivolgere la sua attenzione alle sue mani sopra la tastiera ed ha continuato a cantare la canzone che mi aveva attirato, una canzone che era stata una delle sue preferite, "You'll Never Walk Alone". 
Il corteo funebre, dalla casa verso il Forest Hill Cemetery era lenta e maestosa.
Forse ci è voluta più di un'ora per percorrere la breve distanza lungo Elvis Presley Boulevard. Stando seduto in una delle sedici limousine dietro ad Elvis, continuavo a pensare ad una canzone che aveva suonato per me molte volte nella stanza della TV a Graceland, una canzone che era su uno dei dischi che teneva nel suo cassetto speciale in quella stanza.
Era "The Bells" dei Dominoes, una canzone pop, quasi operistica, che parla di un uomo che assiste al funerale del suo grande amore. Elvis adorava ascoltare il modo in cui il cantante, Clyde McPhatter, si dispera e piange il suo dolore nei versi della canzone.
Ora non riuscivo a smettere di pensare ad Elvis che cantava insieme al disco.
Mentre ci dirigevamo lentamente verso il viale, ho assistito ad uno spettacolo potente e straziante, migliaia e migliaia di persone allineate su entrambi i lati della strada, in piedi, in un silenzio solenne e rispettoso mentre la processione scorreva.
Ho visto bambini piangere, nonni piangere, poliziotti sull'attenti con i loro cappelli appoggiati sul cuore e motociclisti dall'aspetto duro con le lacrime agli occhi.
Le persone bianche stavano fianco a fianco con le persone di colore.
Una parte enorme dell'eredità di Elvis mi divenne chiara durante quel lento viaggio verso il cimitero.
Prima di Elvis e della sua musica, non c'era nulla che avrebbe potuto riunire tutte queste persone diverse, provenienti da tutti questi diversi percorsi di vita. La sua musica aveva riunito gospel, blues, country e R&B in un unico sound.
Ora qui c'erano tutti i visi e le vite dietro ogni frammento di quel suono, schierati in un corpo solo.
Tutti quei volti, tutte quelle persone, erano diventati un tributo vivente ad Elvis, vivendo la sua perdita come una cosa sola ed esprimendo il loro dolore come una cosa sola. Nella morte, Elvis aveva fatto quello che aveva sempre cercato di fare nella vita: ci aveva riuniti.

(c) Jerry Schilling "Me and A Guy Named Elvis".