PAUL SIMPSON - LE SCOSSE DI ASSESTAMENTO DEL FILM "KING CREOLE"

Facendo seguito all'articolo precedente "Paul Simpson - La Storia Segreta di "King Creole", in questo scritto Paul Simpson spiega l'impatto che ha avuto il flop al botteghino del suddetto film su Hal Wallis, Elvis Presley e la carriera cinematografica di quest'ultimo.



La domanda che, per molto tempo, ha lasciato basiti molti critici è perché Elvis non abbia proseguito sulla strada segnata da "King Creole". 
Siccome il film, ad oggi, ha generato entrate al botteghino significativamente inferiori rispetto a  qualsiasi altro film di Presley - anche tenendo conto dell'inflazione, ha generato guadagni di gran lunga inferiori a "Kissin 'Cousins"  - la risposta è tristemente ovvia: per gli studi cinematografici, i produttori, Parker ed Elvis, era più redditizio realizzare film che facessero presa sui suoi fans più accaniti.
Per quanto "King Creole" sia stato un bel film, non è riuscito ad essere un punto di svolta. Molte persone ad Hollywood - persino il guru dell'Actors Studio Lee Strasberg - pensavano che Presley sapesse recitare, ma ci sarebbe voluto qualche film in più del calibro di "King Creole" per persuadere milioni di spettatori scettici. E gli studi cinematografici, nel loro tentativo di aumentare l'attrattiva di Elvis al botteghino, avrebbero dovuto correre lo stesso rischio che ha corso la Twentieth Century Fox con "Flaming Star" e "Wild In The Country ", ed adattare - o tagliare - le canzoni.

Non c'è niente come una canzone:
Non avere musica significava nessun album di colonne sonore: un precedente che Parker non voleva incoraggiare. Per il Colonnello, le aspirazioni recitative del suo cliente erano una fastidiosa distrazione.
Perché Elvis voleva rischiare di diventare un grande attore cinematografico se era già un grande cantante?
Parker credeva che i film esistessero per fare soldi, non per vincere premi Oscar, ed il modo più sicuro per guadagnare era vendere la musica di Elvis. L'unico modo per modificare quella strategia era la decisione di Presley di affrontare il suo manager; e questo, come sappiamo, non è mai successo.
Un peccato, perché Elvis avrebbe potuto trovare l'appoggio Wallis, che avrebbe messo la sua opinione di esperto a favore, almeno, di una maggiore flessibilità nel genere di film in cui Presley lavorava.
Pertanto "King Creole" non divenne un progetto per il futuro cinematografico del re.
Il biografo W. A Harbinson ha persino ipotizzato che la tensione tra le concorrenti strategie messe in atto per la carriera cinematografica di Elvis si sia riflessa nel film di Curtiz: non ci sono canzoni rock nella seconda metà del film.
Per quanto siano divertenti molti dei successivi film di Wallis creati per Elvis - "Roustabout" e "Blue Hawaii" spiccano per diversi motivi e "G.I. Blues" ha uno splendore incantevole - sono veicoli convenzionali per promuovere una celebrità in cui, come produttore, Wallis sembrava meno creativamente coinvolto.
Quando fu realizzato "GI Blues" (1960), lo status culturale era cambiato radicalmente. Presley, per lo più, stava lavorando sul sicuro in studio e sullo schermo. L'intrattenimento per famiglie a tutto tondo, la formula del diario di viaggio sotto forma di commedia musicale aveva raggiunto l'oro al botteghino con "Blue Hawaii", l'undicesimo film di maggiore incasso del 1961, che ha venduto più biglietti di "Breakfast at Tiffany's" ("Colazione da Tiffany").
Dopodiché il dado è stato veramente tratto. Con Norman Taurog, diligente e rispettoso, messo solitamente alla regia, i successivi cinque film di Wallis con Elvis come protagonista furono tutti versioni alternative di "Blue Hawaii".
Il migliore,"Roustabout", presentò un Presley più ribelle e lo mise alla prova con un cast sostanzioso, costringendolo ad affrontare Barbara Stanwyck, una delle più grandi attrici dell'età dell'oro di Hollywood. Eppure, già in "Fun In Acapulco" (1963), la scadente retroproiezione in molte scene sembra indicare che le priorità di Wallis erano cambiate: con il risparmio sui costi come ordine del giorno, sembra legittimo chiedersi se, a quel punto, Wallis stesse potenziando Elvis o lo stesse sfruttando.
Commercialmente, la formula della commedia musicale andò abbastanza bene fino al 1965. Eppure anche Wallis sognava di dare una scossa alle cose: dopo il successo di "Roustabout", lasciò intendere che il suo prossimo film con Elvis avrebbe visto il protagonista come un eroe con il dente avvelenato con delle questioni in sospeso.
Presumibilmente non riuscì a trovare il materiale giusto, dato che tornò alle origini con "Paradise, Hawaiian Style" (1966).



L'ultimo saluto di Wallis:
A quel punto, i rendimenti che diminuivano sia dal punto di vista commerciale che creativo erano dolorosamente evidenti per il produttore. Una straziante negoziazione del contratto con Parker che, in quel frangente, esagerò, puntualizzando su quasi ogni clausola, contribuì a convincere Wallis che la misura fosse colma.
Sebbene abbia trovato ancora tempo per protestare furiosamente contro l'acconciatura di Elvis prima che "Easy Come Easy Go" entrasse in produzione, si rifiutò di pagare per altre canzoni e rese noto il suo disinteresse, consigliando al regista Rich di "metterle a posto".
Dopo quello sforzo poco brillante ed il compenso finale di 25.000 dollari in risposta al reclamo di Parker secondo cui "Easy Come Easy Go" non era stato pubblicizzato correttamente, Wallis non realizzò più un altro film di Presley.
Se ne andò con rimpianto ("Mi sono affezionato ad Elvis col tempo" disse una volta "era completamente privo della capacità di ingannare, di essere malizioso ed anche di egocentrismo"), ma fu abbastanza furbo da decifrare i profitti al botteghino, il disincanto visibile della sua star e rendersi conto che, con le dinamiche peculiari della relazione tra Parker e Presley, era improbabile che lo stato delle cose cambiasse.
Wallis dovette tenere in considerazione il costo dell'opportunità: se poteva produrre solo fino a tre film all'anno, perché crearne di così artisticamente e commercialmente trascurabili come "Easy Come Easy Go", quando avrebbe potuto far vincere un Oscar a John Wayne e godersi il grande successo al botteghino con "True Grit"("Il Grinta")?
A parità di condizioni, Wallis voleva fare buoni film. Ma con Presley bloccato in quello che, in seguito, descrisse come "quel grande solco di Hollywood Boulevard'', sempre più rassegnato al fatto che non sarebbe mai diventato un "attore vero e proprio'' (come confidò ad Elsa Lanchester sul set di "Easy Come Easy Go'' ) e budget sbilanciati, tutti a vantaggio della stella e del suo manager, la qualità era difficile da trovare.
"Easy Come Easy Go", il 23 ° film di Elvis, che la Paramount quasi non era interessata a pubblicare, è sembrato a Wallis il momento perfetto per andarsene.
Infuriato per un'intervista precipitosa, in cui Wallis lasciò intendere che i film di Presley esistessero principalmente per finanziare film artisticamente più significativi come "Becket", Elvis potrebbe non essersi seriamente pentito di aver perso il suo produttore, ma fu abbastanza sagace da rendersi conto di cosa significasse per le sua sorte ad Hollywood.

Rimpianti, Wallis ne aveva alcuni:
Eppure il produttore sembrava pensare di avere degli affari in sospeso con Elvis e continuò a nutrire la vaga speranza che Elvis potesse realizzarsi concretamente ad Hollywood. 
Cercò di tastare il terreno per vedere se Presley avrebbe potuto interpretato il Ranger del Texas La Boeuf in "True Grit" ma, probabilmente a causa delle richieste economiche di Parker o della solita commissione da 1.000.000 di dollari, venne scritturato Glen Campbell.
Anthony Lawrence, che collaborò alla sceneggiatura di "Easy Come Easy Go", "Paradise Hawaiian Style" e "Roustabout" insieme a Weiss, scrisse nelle sue memorie che all'inizio degli anni '70, ricevette una chiamata da Hal Wallis, il quale voleva fare un altro film con Elvis.
Lawrence sviluppò una storia per un film sul karate solamente per Wallis per informarlo con rammarico che la Paramount pensava che Elvis non fosse più valido commercialmente e riteneva che un altro dei suoi film non avrebbe generato profitti.
Il disinteresse della Paramount segnò un finale piuttosto deludente per la collaborazione tra Wallis e Presley. Sebbene incolpato da molti per aver perfezionato la formula che ha distrutto la carriera cinematografica dell'artista, il produttore fu abbastanza audace da creare "King Creole", un film affascinante che ci ricorda strade che non sono state percorse, confuta gloriosamente i sogghigni secondo cui Elvis non sapeva recitare e, probabilmente, ha dato alla sua stella tante soddisfazioni artistiche come qualsiasi cosa abbia mai fatto.
Per questo, siamo tutti in debito con Wallis.

(c) Paul Simpson