mercoledì 18 aprile 2018

DOCUMENTARIO - ELVIS PRESLEY: THE SEARCHER / RECENSIONE DEL "WASHINGTON POST"

Il "Washington Post" ha fatto la sua recensione del documentario "Elvis Presley: The Searcher", dopo la trasmissione del 14 Aprile sul canale HBO.

"Elvis: The Searcher": un bel modo per riscoprire l'uomo che è diventato Re. 
Questo è Elvis, riabilitato alla fine e fatto scendere dal suo lunatico aldilà come un'icona, ci ricorda che, una volta, era solo un uomo.
Sicuramente, non era un uomo qualsiasi, lui era ELVIS - dalla nascita, a quanto pare.
Il gemello sopravvissuto di una mamma innamorata, cresciuto dalla Depressione di Tupelo e dai bassifondi di Memphis del dopoguerra, apre la sua bocca davanti al microfono di Sam Phillips e, apparentemente, unisce le canzoni della tradizione americana bianca e nera in una forma nuova ed eterna.
Era impregnato dallo spirito della musica gospel e approdò a qualcosa di bizzarramente chiamato rock'n'roll.
Con una manciata di produttori che include Priscilla Presley, il commovente e perspicace documentario del regista Thom Zimny è una bella dimostrazione di come il passare del tempo può aiutare a collocare anche le star più amate e più geniali in una liberazione benedetta.
Il film è un calmo e profondo racconto della vita di Elvis Presley.
Un amorevole miscuglio di filmati d'archivio e chiarezza sonora, è un riassestamento ben fatto delle origini e dell'impatto di Presley. 
Molte fonti, siano esse morte o vive (da Elvis stesso, al Colonnello Parker; a scrittori come Alan Light e Jon Landau, fino a musicisti come Robbie Robertson ed Emmylou Harris) sono stati ascoltati in interviste piuttosto che visti davanti alla telecamera, che aiuta a mantenere la concentrazione. 
L'unico punto in cui "The Searcher" sembra incompleto in modo rilevante è quando arriva la fine, forse per deferenza al coinvolgimento di Priscilla o forse come compromesso per l'accesso a materiale di archivio.
La morte di Elvis all'età di 42 anni, nel 1977, è vista più come una liberazione dalla tristezza che un eccesso evitabile, e non c'è un accenno al fantastico e redditizio mondo che si è creato dopo la sua morte come icona.
Il documentario sembra anche determinato a risolvere vecchie questioni con il Colonnello Parker, morto nel 1997, ed il cui modo di gestire la carriera di Elvis Presley viene ritratto come una costrizione crudele e tragica sotto il profilo creativo, scegliendo per il suo cliente un percorso disseminato di film di serie B e, negli ultimi anni, la servitù a Las Vegas.
Alla fine rimane una sorta di teoria dal carattere suggestivo: persino il Re era legato all'uomo, ma lui si erge ancora!

Source: Washington Post
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